#welcome(R)home

Dice tutto il titolo. Che ho lasciato Milano quando cominciavo a sentirla un po’ casa – Dio solo sa quanto è stato difficile -, che sono arrivato a Roma. Cazzo se è bella Roma, anche di più fuori dal centro, dove non è appesantita da strati secolari di potere. Espansa, sconnessa, pasoliniana, a tratti berlinese. Ma difficile, ché certi posti possono sembrarti irraggiungibili, da un’altra parte. Cocci che non stanno insieme. Rovine. A cui magari non riesci a dare un senso, o neanche ci provi. Sono belle, e tanto basta per farti fregare.

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L’obsesion del baseball, primavera al Parco Nord

 

Ho appena svoltato a destra, verso il Parco Nord. E’ una chitarra stridula che mi fa fermare, girare la bicicletta. Le sincopi incalzanti e ripetitive della bachata: forse Obsesion degli Aventura, forse un’altra tra le milioni di canzoni quasi identiche e troppo struggenti dei Caraibi. Made in Repubblica Dominicana, l’etichetta della bottiglia di superalcolico lo conferma, croce bianca su fondo rosso e blu. Il ragazzo seduto sulla panchina se ne versa un bicchierino mentre il suo cellulare continua a gracchiare versi su amori non corrisposti. Ha un tatuaggio sul collo, capelli impomatati e il braccio ingessato: “Chissà a chi le avrà date?”, mi scappa di pensare. Nell’attesa se ne sta seduto lì, beve e tifa: i suoi compagni stanno sfidano un gruppo di italiani. Ma niente porte e pallone, in questa domenica di quasi primavera, al Parco Nord di Milano, si gioca a baseball. A ritmo di bachata.

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Mimose ai labrador

Nel giorno della festa della donna, in metropolitana, mi cade l’occhio su questa pubblicità. Regresso?

festa donna 8 marzo pubblicità regresso

 

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Paola Verde (XLab) risponde alle critiche di MiQb: “Studia la storia”

Qualche mese fa, su questo blog che più piccino non si può, ho scritto un post su una mostra che avevo visitato. Era organizzata da XLab, una galleria fondata a Berlino da due ragazzi italiani, ed esponeva alcune delle opere passate nel loro spazio in questi anni. Esprimevo, dal punto di vista di un appassionato non esperto, delle critiche sui contenuti. Elogiavo, in modo convinto, l’iniziativa: assaggio di libertà berlinese in una città bloccata come Milano. Ieri l’organizzatrice, Paola Verde, mi ha risposto. Così:

Caro Filippo Santelli, sono la curatrice dell´evento che tu hai criticato nei contenuti, pur definendoti come una persona con “nessuna conoscenza tecnica o accademica di arte contemporanea. ” Non c´era bisogno che lo specificassi, in quanto il tuo giudizio sulle opere esposte gia´portava persone piu´esperte alla medesima conclusione sul tuo background culturale.
Vorrei invitarti, oltre che a leggere accuratamente il press kit relativo alle biografie e alle esperienze degli artisti presentati in mostra, a farti un giro a Berlino, in modo da poter farti un tuo giudizio personale a riguardo, tralasciando le descrizioni di amici vari. Parli di una citta´libera, ma forse dovresti studiarti un po di piu la storia, scopriresti che la liberta´ in questa citta´e´stata piu che mai negata, nel lunghissimo periodo di un muro eretto che divideva famiglie e intrappolava persone, nei bui anni del regime sovietico ( mai sentito parlare di STASI? di gente che veniva portata via e intrappolata per anni in celle al buio e torturata solo perche la sua opinione era diversa? ) e si parla di giovani, di giornalisti, di professori, di chiunque non fosse rigidamente in schema con un ordine precostituito da rispettare ?
Si, forse ora a Berlino si respira un aria di liberta´, ma ricordati sempre che tutto ha avuto un caro prezzo. Sono sicuramente certa che questa liberta´espressiva che pervade la citta´e´perche fortunatamente esistono poche persone che si permettono di giudicare in maniera cosi apertamente il lavoro altrui senza alcun fondamento ne criterio, concentrandosi maggiormente sul proprio lavoro e sulla propria espressione artistica. A Berlino trovano spazio di esprimersi le minoranze, quelle che in Italia vengono emarginati, i bordeline, gli ´scarti´se vogliamo chiamarli cosi, coloro che sono diversi e che in Italia, grazie anche a persone come te, vengono additati come ´bruttura´. E i bambini sono presenti ovunque, attenti, svegli, educati a una conoscenza del mondo che va oltre il rimanere chiusi davanti alla televisione o alla playstation, perche´e´piena di posti pronti ad accoglierli e di genitori pronti a istruirli a quello che poi e´la vita reale.
Concludendo, se cio´che hai visto in mostra ti sembra ´brutto´( mai termine piu infantile per definire un´opera d´arte o una mostra), mi chiedo cosa pensi quando guardi i telegiornali, o quando ti fai bombardare la testa da futili programmi televisivi per cui paghi il canone.
Puoi sempre cliccare il tasto ´riportami alla pagina dei gattini” come su flickr.
Peccato che nella vita reale questo comando non funzioni.

Il post che ha fatto arrabbiare Paola Verde è qui, chi vuole può farsi un’idea.

Preciso solo due cose: sono allergico ai gatti e non ho mai pagato il canone.

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Quando casa è il lavoro

Scettico, suono il campanello. Il callo del Milanese ci mette poco a formarsi: talmente tanti eventi, incontri, progetti imperdibili, quasi altrettante delusioni. Due ragazzi che vivono in uno showroom? “Figurati se è vero”, sghignazziamo io e il mio amico, “ci andranno solo quando fissano gli appuntamenti”. E così avevamo fatto noi, chiamando il giorno prima. Al telefono Gionatan era parso un filo scocciato: “all’85% ci sono” la sua risposta, percentuale che avevo trovato poco simpatica. “Ma allora vedi che non ci vivono? Sennò era 100”. Mi sbagliavo, e ne è uscito questo racconto.

“Orario continuato” c’è scritto sulla porta. Una bugia: l’Appartamento è aperto sempre. Vito Gionatan Lissandro e Gloria Rozzini ci vivono da più di un anno, è il loro lavoro. Lui esita un attimo: “Sì, è un lavoro. Solo pagato in modo diverso”. Lago, un mobilificio di Padova, ha affittato e arredato lo spazio. Poi ha consegnato loro le chiavi.

Gratis, spese incluse, a condizione che accolgano chiunque bussi. Così la coppia – 32 anni lui, 31 lei – vive in 300 metri quadrati in piena Brera, sopra il mitico bar Jamaica. E l’azienda ha un luogo dove esporre i suoi mobili. Più economico del classico showroom, perché l’affitto è residenziale, non commerciale. E più efficace: “Perché reale”, spiega Gloria, “sarà l’odore, o il fatto che in cucina non manca nulla”. Come la teiera che ha appena messo sul fuoco…

Puoi continuare a leggere questo articolo su La nuvola del lavoro, un blog di corriere.it

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Se una mattina d’inverno un viaggiatore

Un quarto di vita da pendolare. Quante volte avrò messo piede in Stazione Centrale? Centinaia, forse mille. Mai davvero però, per la fretta che ho avuto di correrci attraverso e oltre. Acchiappare un treno o una metropolitana.

La foto è di Gianni Berengo Gardin

Splendore di architettura fascista. E’ bella Centrale, basta avere il tempo di alzare la testa. Grande, e piena di storie. Può capitare, al binario 21, di leggere un cartello. “Siamo tutti sulla torre”: caratteri neri su fondo giallo, con tanto di freccia che indica laggiù, verso i binari. Dove in teoria non si potrebbe andare. Ma si può, nessuno controlla. Costeggiare il muro a destra, uscire fuori e scavalcare un paio di rotaie. Stando attenti: passano i treni.

Lì, sulla torre faro, un uomo ci vive da cinquanta giorni. L’hanno occupata di notte, erano in tre quell’8 dicembre. Due sono scesi, per sfinimento e malattia. Lavoratori licenziati che hanno dato il corpo a una protesta. Questa, a torto o a ragione, è la loro storia. Chissà che albe da lassù, con le cinque volte della stazione e il sole che appare da dietro i palazzi di Milano. Chissà se la cinquantesima è ancora bella. Oliviero Cassini la vede dall’alto, non da solo. Dagli stessi 50 giorni colleghi e amici sono lì sotto: cucinano, si scaldano, dormono. Specie di campo di fortuna, non sgarrano un turno. All’ora di pranzo ti invitano a restare.

Questo video, realizzato con Davide Lessi, è stato trasmesso per la prima volta durante la puntata di lunedì 3o gennaio di Dissesto TG, il telegiornale della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi. Un’edizione speciale dedicata alla vertenza dei lavoratori Wagon Lits, potete guardarla qui.

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Il terremoto a Milano raccontiamolo noi

Scossa di terremoto a Milano. Ore 9.07, Magnitudo 4,9: non si è fatto male nessuno. Ma se fosse stato peggio? Se fosse venuto giù tutto (o quasi), come vi avrebbero trovato i soccorsi? Cosa facevate prima di ballare? Quale storia strappalacrime il giornalista di turno avrebbe inventato su di voi? Raccontatelo qui sotto, commentando questo post. Bastano tre righe, comincio io.

“Sempre meno capelli”, rimuginavo come ogni mattina con il phon in mano. Appena uscito dalla doccia, in clamoroso ritardo. Addosso un accappatoio blu, di quelli da valigia, che sembrano fatti di carta. “Per la sua ultima doccia”, avrebbero scritto, “ne meritava uno migliore. Caldo e avvolgente, come li facevano una volta. Ma quelli ormai costano troppo. Un giovane precario non se li può permettere”. E giù venti righe in favore dell’abolizione dell’articolo 18.

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Starbucks in Italia, vendita di bufala

Molti hanno esultato. Alcuni hanno protestato. Qualcuno poi ha dato la colpa alle liberalizzazioni di Monti. Starbucks, la catena di caffé americana, sta per sbarcare in Italia. Frappuccino and company presto a Milano, annuncia una pubblicità diffusa nelle ultime ore in rete.

starbucks-italy-2012

Un clamoroso passo indietro per il fondatore del marchio, Howard Schultz. Che proprio durante un viaggio a Milano, nel 1983, rimase folgorato dal gusto e dall’atmosfera dei bar italiani. Tanto da decidere di replicarli oltreoceano, adeguatamente americanizzati. “Agli italiani non piacciono le tazze di carta, non consumerebbero il caffè camminando per la strada”, dichiarava nel 2007, rispondendo a chi gli chiedeva perché non aprisse i suoi shop anche nel nostro Paese.

Cinque anni per cambiare idea? Per niente: quella apparsa in rete è infatti una bufala, opera di un grafic designer di nome Marco. Che spiega tutto qui, sfruttando la sua bella trovata per predicare un po’.

 

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Il giorno che divenni milanese

Sarebbe stato bello scappare oggi. Lasciare Milano all’alba. Staccare tutto, iPhone, computer, e passare la giornata al lago. Poi la sera tornare. E kilometro dopo kilometro sentir crescere l’ansia. La paura di trovare, dopo il primo giorno di Area C, una Milano devastata: colonne di fumo all’orizzonte, carcasse di macchine in fiamme, vetrine distrutte, autobus rovesciati, corpi di vigili a terra. Nel loro sangue.

area c milano pisapia

Alcuni l’avevano profetizzato, altri se l’erano augurato. Non è successo, lo so. Perché pur essendo scappato questa mattina – a Sesto ahimè, non al lago – non ho spento le connessioni. E da commenti e umori del web sembra che l’Area C sia andata bene. Pare che il traffico si sia ridotto del 40% e che la rete dei mezzi pubblici abbia tenuto. Troppo presto per dare un giudizio: dicono che la prova decisiva di tenuta si avrà solo nei prossimi giorni, dopo l’assestamento. E di certo i contrari non avranno cambiato idea. Per loro quella gabella di 5 euro è troppo alta o serve solo a fare cassa.

Legittimo, ma non è questo il punto. La luna, non il dito, è che oggi dopo tanti anni una città tenta di cambiare. Sperimenta perfino, in ritardo su altre metropoli europee, ma prima in Italia. Per questo il 16 gennaio 2012 è un po’ più bello essere milanesi. Per questo il 16 gennaio 2012 anche un veneto trapiantato, venuto qui alla ricerca di opportunità un po’ come altri vanno a New York, si sente milanese. Non solo uno che vive a Milano. Sarà un caso, ma proprio oggi il Corriere della Sera ha inaugurato un blog dedicato alla città. Si chiama Milanesi. Parla di noi.

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Un evento in uno spazio (non potete perdervelo)

Un messaggio senza contenuto, la terra promessa di ogni pubblicitario. Non si offre un prodotto, ma un’emozione. Insoddisfatti? L’unico call center che potete chiamare è il vostro inconscio, sempre che troviate il numero. Magie del milanese contemporaneo, lingua da Pr, copywriter e uffici stampa. Un dizionarietto scarno di due parole due: evento e spazio. «Un evento in uno spazio (non potete mancare)»: un po’ lo slogan di questa Milano di inizio XXI secolo. E la perfetta descrizione per una domenica pomeriggio di disintossicazione post-natalizia. Passata nella Cattedrale, ambiente (o spazio) da poco restaurato all’interno della Fabbrica del Vapore. Da qualche mese – e fino al 31 gennaio – ospita un’installazione dell’artista indiano Anish Kapoor.

anish kapoor fabbrica del vapore

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